sabato 7 luglio 2012

ACQUA TONICA, ieri medicina, oggi bibita modaiola...

non è una, ma la Tonic Water...
 
Nata come medicinale oggi è una delle bibite più famose...
Cosa rende così speciale l'acqua tonica? È il chinino, che in realtà è un farmaco miracoloso. È noto per curare la malaria, aiutare la digestione, il trattamento di crampi notturni alle gambe, e rimediare a parassiti intestinali e protozoi.
Il Chinino è estratto dalla corteccia dell'albero di china, pianta di origine Sud Americana.
Possiamo contare fino a 40 specie di china che vanno dai piccoli arbusti sempreverdi ad alberi ad alto fusto.
l'albero di chinino
La leggenda narra che nel XVII secolo (1638) la contessa Ana de Osorio Chinchón,  moglie del viceré del Perù, Luis Jerónimo de Cabrera, malata di una misteriosa febbre molto alta, venne curata con rimedi tradizionali indigeni ottenuti lavorando la corteccia di un albero; "il nome" deriva dalla contessa di Chinchon.
Ben presto invase il mercato europeo come una cura per la malaria, febbre, indigestione e le malattie della gola. Per quasi 100 anni il chinino veniva usato come un farmaco.

Nel 1825, la British East India Company in India iniziò a mescolare il loro tonico di chinino con il gin per renderlo più appetibile. Nasce così il gin and tonic!
Presto una società britannica brevettò la ricetta della tonic water.

il Gin and Tonic, Hendrick's gin, gin ai petali di rosa scozzese, e Tonic Water Fever Tree

Agli inizi si conosceva un solo modo di utilizzare il chinino: prima veniva lavata la corteccia dell' albero di china e asciugata, poi polverizzata e miscelata all' acqua; nel 1820, due scienziati, Pelletier e Caventou, isolarono il chinino dalla corteccia, capirono come estrarre alcaloide chinina dal legno senza alcun effetto collaterale. La domanda per il chinino raffinato crebbe e prosperò. Ma a metà del 19° secolo, gli esploratori britannici e olandesi contrabbandarono i semi di chinino dall'America Latina per poi piantare alberi in Cina, India, Ceylon, nella speranza di prendere una presa sul mercato. Nessuno di questi alberi andò bene poiché non produsse un alto grado di chinina. Ma gli olandesi non si arresero e ancora una volta contrabbandarono i semi questa volta da Java e Bolivia. Questi alberi andavano molto meglio e fornirono esattamente ciò che gli olandesi speravano, gli alberi in Cina avevano un alto grado di chinina. Gli olandesi monopolizzarono rapidamente la produzione di chinino e nel 1918 avevano il controllo totale della fornitura nel mondo intero.

La nota positiva è che oggigiorno non si ha bisogno di bere acqua tonica per allontanare le matattie tropicali; questa bevanda oggi è costituita da pochissimo chinino, quanto basta da renderlo gradevole al gusto.
dettagli dell'albero di chinino 

Se si volesse combattere i sintomi della malaria con l'acqua tonica moderna, dovreste bere l'equivalente di dieci gin tonic al giorno.
Un sacco di gente pensa che l'acqua tonica non ha calorie e zucchero, ma l'acqua tonica è come qualsiasi altra soda e ha un alto contenuto di zucchero, proprio come una Coca o una Sprite.







venerdì 8 giugno 2012

un uomo, le sue mani, il suo vino.... "Luteraia"




Ed eccomi tornato, il cyber viaggio di ritorno dalla Spagna è stato lunghino e pieno di soste e riposini ma....
 
poco tempo fà ho avuto il piacere di conoscere un personaggio dell' enologia toscana di Montepulciano, Sergio Paolini, titolare dell' azienda Luteraia.
A pelle mi è piaciuto subito, ho trovato una certa sintonia, amante delle sue terre e del suo prodotto, ne parla come se fossero suoi figli, dalle sue parole trasuda il suo amore ed una frase mi è rimasta impressa: "io mi prendo solo un merito, quello di saper assecondare principi e regole della natura..."!
Una chiacchiera tira l' altra e partendo da una conversazione puramente tecnica senza neanche renderci conto ci troviamo a fare discorsi quasi filosofici, parlare con Sergio è un piacere ed il tempo passa senza che ce ne rendiamo conto.
Sergio Paolini, Luteraia
L' azienda si trova ad Acquaviva di Montepulciano; il nome deriva da Luteus, fango giallo per i Latini, che subentrarono agli etruschi nella storia di queste terre.

I vigneti sono ubicati su pendii a circa 250 metri slm, su di una collina  che molto dolcemente arriva a misurare fino a 600 metri slm; la conformità dei terreni e l' ampiezza della collina stessa permette alle piante di godere di tutto il sole necessario.
Il fondo è quello tipico della zona, unico nel suo genere, composto da una miscela preziosa di argilla e tufo con sedimenti di scheletro fine, che dona ricchezze minerali alle piante e che caratterizza il colore giallastro tipico delle zone, definito "Bottaio" in gergo chianino; i vigneti sono contornati di noci, alberi che piantò il nonno di Sergio, uomo lungimirante che capì le proprietà benefiche che questa pianta poteva apportare alla vigna, dato che produce "metabisolfito di potassio", che possiede azioni antiossidanti, conservanti e antisettiche.

La produzione di Luteraia, in continua crescita, lenta e regolare, è di un solo vino e viene etichettato sia IGT Toscana che Vino Nobile di Montepulciano DOCG (la più antica e importante denominazione della Toscana).
Oggigiorno la fama e l' importanza della DOCG Brunello di Montalcino ha messo un pò in secondo piano quella di Montepulciano, anche se credo che non solo di fama si debba parlare; durante gli ultimi due decenni probabilmente i produttori di queste zone si son lasciati cullare dal comune denomintore dell' importanza che portava il nome Montepulciano stesso, con conseguente dimenticanza della ricerca della qualità a favore della ricerca del portafogli, motivo per cui oggi solo poche aziende, come Luteraia, si trovano a fare un doppio lavoro: creare grande qualità e riscattare il buon nome.

La vinificzione delle uve, leggermente appassite in vigna, avviene nel modo più naturale possibile, in vasche di acciaio ed in percentuali ben stabilite tra loro; la fermentazione viene svolta con due rimontaggi del cappello al giorno, unico metodo attuato per controllare che la temperatura non si innalzi esageratamente, e 4-5 volte durante l' intero arco della fermentazione viene effettuata una manovra detta pratica del "delestage", che consiste nello svuotare i fermentatori dell' intera quantità di mosto,
lasciandovi solo la vinaccia onde consentire ad entrambe le masse separate anche e più che altro un raffreddamento naturale, per poi rimescolare dopo circa un'ora di "divorzio".

 Al momento della svinatura il mosto fiore non viene separato dalla spremitura preservandone tutta la qualità aromatica che fa diventare questo mosto "Luteraia". Successivamente la massa passa nei tonneau di rovere (botti da 500 o 550 litri di capacità), rigorosamente esausti di tannini, scelta volta alla corretta traspirazione del vino senza che venga mediata dai sentori che il legno nuovo potrebbe donare e allo stesso tempo cercando di valorizzare i profumi che può esprimere il territorio. In questi contenitori vi rimane un anno dopodichè viene imbottigliato e lasciato per i successivi due anni a riposare in cantina, prima di essere immesso in commercio.
  
Le uve che lo compongono sono: 
  • Sangiovese: Prugnolo Gentile, in quantità generose, è caratterizzato da un acino medio-piccolo, concentrato di estratti e aromi, e con buccia pruinosa, sottile e di colore nero-blu, donando al vino un colore rubino chiaro, tannini morbidi ed eleganti e buona armonia al palato (fine del 1700);
  • Mammolo: il suo acino si presenta con buccia spessa, pruinosa e di colore violaceo, questo cultivar apporta una buona carica di antociani (anchesso molto antico, risale alla fine del 1700);
  • Canaiolo: cultivar molto antico, i primi scritti risalgono addirittura al 1350, è un' uva dalla scarsa vigoria, con acini molto scuri, quasi neri, incorre in molti vini toscani in quanto dona corpo e struttura, e quando l' età della vigna non è ormai più giovane tende ad esprimersi con grandissimo equilibrio ed eleganza, regalando gradevoli sorprese;
  • Malvasia Bianca Aromatica: quella piccola percentuale regala delle belle sensazioni, con note di profumi freschi e dona morbidezza.

Dopo tanto parlare siamo arrivati al tanto aspettato e agoniato assaggio....
di colore rosso rubino tendente al granato, segno di una giusta evoluzione, quando lo si avvicina al naso è un esplosione di profumi, dalla violetta, al lampone, al muschio e sopratturtto ai frutti di bosco, fino alle note speziate di pepe, secondo me il bianco, e chiodo di garofano e leggeri accenni di cannella. In bocca si esprime con un' eleganza rara, secco, austero, con tannini molto vellutati che carezzano il palato e persistente, molto persistente.
Io lo abbinerei ad una pasta fresca al cinghiale, in stile toscano, con una generosa untuosità, oppure ad un umido di colombacci...

Che altro dire se non       "CIN CIN...."






mercoledì 2 maggio 2012

Pata Negra, una qualità di prosciutto o un aggettivo???

www.caffedesiderio.com

Jamon Iberico de Bellota
  Ed eccoci qui, sbarcati in Spagna dove cercheremo di conoscere i segreti del Prosciutto più famoso al mondo.... Il Pata Negra!
 Innanzitutto bisogna dire che questo termine non vuol dire niente, infatti ,se guardiamo le vetrine dei negozi o i banchi dei salumieri, è improbabile trovare scritto "Pata Negra", se non in quegli ambienti fortemente frequentati da turisti, dato che è un termine che potremo descrivere come giornalistico o commerciale.
 Facendo un piccolo passo indietro inizierei da una visione più ampia dell' allevamento dei maiali che troviamo in Spagna e in questo caso possiamo spaccare in due la nazione: ad est del paese troviamo il meno pregiato maiale bianco, che assomiglia a quelli presenti in Italia che vanno alle produzioni dei vari Parma e San Daniele,  il "Serrano", dal quale si ottiene i Jamon Serrano appunto nelle DOP Jamon del Teruel e Jamon del Trévelez, che provengono dalle omonime regioni.
 Ad ovest troviamo gli allevamenti dei maiali di razza Alentejana, i più noti Iberici, con i quali verranno prodotti i Jamon Iberico, da noi noti con il termine di Pata Negra appunto.
 Le DOP che caratterizzano questi prodotti sono:
  • Jamon de Huelva, prodotto nella zona di Huelva, a sud-ovest, sulla costa, a metà strada tra Faro e Cadiz in Andalucia;
  • Los Pedroches, prodotto nella zona di Los Pedroches, appena a nord di Cordoba in Andalucia;
  • Jamon de Guijuelo, prodotto nella provincia di Guijuelo (questa città è la patria di Joselito, il produttore in assoluto più rinomato e importante della nazione), nella Spagna centro-ovest, a ovest di Madrid, nella regione di Salamanca;
  • Dehesa de Extremadura, prodotto nella regione della Extremadura, che confina ad ovest con il portogallo, a nord con la Castilla Y Leon, ad est con la Castilla La Mancha e a sud con la Andalucia;
che, a seconda delle condizioni di allevamento troveremo nelle versioni:
  • Bellota o Montanera, tradotto significa ghienda, è il termine utilizzato per indicare il miglior prodotto, quello ottenuto da maiali bradi; 
  • Recebo, termine che sta ad intendere maiali che siano stati allevati allo stato semibrado;
  • Cebo, o Cebo de campo, termine che intende i prodotti ottenuto da maiali che siano stati trattati in modo estensivo, quindi nutriti.
 Il Cerdo (maiale in spagnolo) Iberico è una razza molto antica che deriva dal "Sus scrofa mediterraneus" (l' antenato di tutti i suini domestici del bacino del Mediterraneo, derivato da incroci di forme selvatiche europee ed asiatiche). Attualmente questa razza conta circa 100.000 scrofe, di cui una parte incrociate con altre razze suine.
 Il maiale Iberico oggi è presente sul territorio con una decina di razze differenti tipo Jabrugo e Torbiscal, tutte di unica origine, ma di diversa selezione che si distinguono soprattutto per le sumature di taglia e colore; questi maiali si presentano con scheletri leggeri, arti sottili ma forti, di grande stazza, grugno appuntito, setole deboli e scarse e con la cute colorata, dal rosso scuro al nero.


Elenco delle razze di maiale Iberico:

-Negras Lampinas
Razza Spagnola pressoché priva di pelo con arti molto sottili.
Profilo frontonasale rettilineo, orecchie ampie e pendenti.
Presente con due varietà: Negro Lampino Pelòn Guadianés e Negro Lampino De la Serena.

-Negro Enterpelado
Varietà Spagnola ottenuta per incrocio di Negro Lampino con la razza Large black Inglese. Presenta migliore conformazione e prolificità elevata, ma risulta inferiore come rusticità rispetto al Negro Lampino puro. Presenta setole eccetto alcune regioni caratteristiche dove ne è priva.

-Retinto Portugués
Retintas Extremeno
E’ la razza iberica Spagnola a maggiore diffusione con le varietà: R.E. Valdesequera, R.E. Villalòn, R.E Silvela e R.E. Olivenza. In passato alcune di queste varietà risentirono di incroci con la razza Tamworth Inglese.

-Rubia Andalusa
Razza Spagnola distribuita nelle province di Cordoba, Siviglia, Cadice.
Con le varietà: R. Cano (testa biancastra, chiamata Cano Campinés); R. Dorado (presenta intensa pigmentazione della pelle; detto anche Dorado Gaditano).
Un gran numero di questi soggetti presentano tettole come la razza Casertana.
Razza a grave pericolo di estinzione.

-Manchado de Jabugo
Razza Spagnola conosciuta già dal principio del secolo scorso.
Razza in pericolo di estinzione.
Deriva da vari incroci non tutti noti.

-Torbiscal
Razza Spagnola originata intorno al 1943.
Fu ottenuta dalla fusione di 4 linee (Envideira Portoghese, Caldeira Portoghese, Puebla, Campanario).
Colorazione con due tonalità, senza differenze cromatiche notevoli.
Parallelamente al Torbiscal si originarono altre stirpi (Gamito, Guadyerbas)

 Le scrofe partoriscono e allevano al massimo 10 suinetti, con grande cura, attitudine materna e capacità di allevamento.
 Questi suini, come già detto, possono essere allevati in modo brado, semibrado, estensivo; per estensivo si intende i maiali che sono stati nutriti con mangimi selezionati in allevamenti all' aperto, i bradi vivono all' esterno e si nutrono di sole ghiande e semibradi sempre all' esterno nutrendosi sia di ghiande che di mangimi selezionati naturali.
 I Bradi vivono nelle classiche dehesa, maggiormente diffuse nella regione dell' Extremadura (circa 3000 ettari di cui la metà desitinata ad allevamento di maiali Iberici), che sono delle grandi distese verdi punteggiate dalle Quercus, querce che garantiscono abbondanti quantità di ghiande (alimento abbondantemente ricco di acido oleico) soprattutto da settembre a marzo; ai semibradi  viene aggiunto alla dieta quantità di mangimi selezionati.
 La dieta dei giovani maiali Iberici comprende cereali e ghiande. Il peso che devono raggiungere per avere diritto all’ambìto titolo di “jamón ibérico de bellota” è di 150/180 chili. Le regole sono molto precise. Esempio: per essere sicuri che ogni maiale mangi la quantità di cibo richiesto (circa 10 chili di ghiande al giorno, per un aumento di 1 chilo al giorno), non possono essere allevati più di due maiali per ettaro. Le ghiande delle querce sono ricche di acido oleico, la stessa sostanza chimica presente nelle olive. Il gusto si fa strada nel grasso degli animali, al punto che gli spagnoli chiamano i maiali iberici: “olive con le zampe”.
 Questo periodo può essere diviso in due fasi:
  • la pima fase è detta dell' ingrasso, durante questo primo periodo il maiale deve arrivare ad un peso di circa 100/110 kg nutrendosi di radici, mangimi e cereali;
  • la seconda fase, fondamentale per la futura classificazione, è detta montanera e consiste nel far raggiungere il peso finale di 150/180 kg con il solo utilizzo di ghiande.
 Capita però che il bosco non sia in grado di dare tale nutrimento, sufficiente ai maiali durante il periodo invernale, motivo per il quale sono state create le tre classificazioni che caratterizzano i tre fianli di allevamento differenti Bellota, Recebo o Cebo.

L' alimentazione a ghiande rappresenta il valore aggiunto in quanto rende il grasso particolarmente ricco di grassi monoinsaturi, in particolare l' acido oleico (tipico dell' olio extra vergine di oliva, come già detto), che rende il grasso particolarmente scioglievole e aromatico; la carne di questi maiali ha la caratteristica di essere molto più grassa, inoltre accumula molto grasso inframuscolare il che rende la carne particolarmente marezzata, che dona al prodotto finale gusto e aroma unici, perchè è proprio nel grasso che si nascondono gli aromi tipici di questa carne che durante la stagionatura vengono esaltati.
Le fasi della lavorazione:
il taglio, da notare la marezzatura
  1. il Taglio: durante questa fase il maiale viene tagliato e marcato a fuoco con la settimana che corrisponde alla macellazione; questo processo avviene nelle stanze di taglio autorizzate e garantite igienicamente. Al prosciutto viene dato un taglio tipico.
  2. la salagione: dopo una breve sosta alla camera di ventilazione, di seguito al taglio, avviene la salagione; i prosciutti vengono posti nella camera di salagione uno sull' altro, separati da uno strato di sale, ad un livello massimo di otto prosciutti; la sosta in queste stanze avverrà in base al peso, ogni chilo di peso avrà bisogno di un giorno di sosta, a ttemperatura compresa fra 1° e 5°C e umidità da 80 a 90%. Questa fase è fondamentale, poichè il prodotto finale non dovrà risultare mai salato, dato unadelle caratteristiche dei prosciutti Iberici di qualità è la dolcezza;
  3. la post-salatura: i prosciutti vengono lavati delsale in superficie, lasciati per un perido tra 35 e 60 giorni, a temperatura tra 3° e 6°C e umidità tra 80 e 90%;
  4. l' asciugatura: viene realizzata in asciugatori all' aria aperta; i prosciutti vengono fatti pendere in modo che perdano umidità, con un rigoroso controllo di temperatura (dai 15° ai 30°C) e ventilazione. In questi asciugatori vi rimangono dai 6 ai 9 mesi, fase in cui il grasso si distribuisce longo tutte le fibre muscolari, generando una carne succosa e profumata;
  5. la stagionatura in cantina
  6. la maturazione: per ottenere una lenta maturazione i prosciutti vengono posti nelle cantine, passaggio importante per garantire costante temperatura e umidità durante questa fase. Normalmente si realizza durante l' autunno e si propaga fino a 6-18 mesi, ad unatemperatura che oscilla tra 15° e 20°C e umidità dal 60 al 80% (come in ogni fase le oscillazioni variano a seconda del peso dei prosciutti). Durante questa fase sulla superficie esterna del prosciutto compariranno delle muffe che andranno ad incidere decisamente nell' aroma finale, caratterizzando i prosciutti del bouquet tipico. Una volta terminata questa fase i prosciutti usciranno di cantina con un peso inferiore del 30-35% rispetto a quando vi sono entrati e uno ad uno verranno forati con un osso, chiamato Cala, il quale una volta infilato nella carne viene estratto ed annusato da esperti che decideranno se, in base ai profumi emanati, che dovranno essere piacevoli e forti, il prosciutto è all' altezza delle aspettative o deve essere scartato.
l' osso Cala

 Il Jamon Iberico è un alimento molto equilibrato che apporta salute e vitalità al nostro organismo:
-è ricco di vitamina E, potente antiossidante;
-troviamo una grande presenza di vitemine del gruppo B: B1, B6, B12 e acido folico, molto utili al sistema nervoso ed al buon funzionamento del cervello;
-ha un valore proteico maggiore del bianco; 
-contiene minerali come ferro, magnesio, zinco, calcio, fosforo;
-contiene anche abbondanti quantità di rame, importante per le ossa e le cartilagini;
-è ricco di selenio, molto legato ai processi di antinvecchiamento;
-altra buona caratteristica è che il grasso di questo prodotto è insaturo e contribuisce alla buona circolazione del sangue, contrastando la formazione del colesterolo;
-in termini energetici 100 grammi forniscono 43 grammi di proteine e 250 kilocalorie, quindi il consumo moderato nelle diete ipocaloriche è consentito;
-il consumo del prosciutto della qualità de Bellota, che come già visto contiene alte quantità di acidi grassi monoinsaturi, maggiormente gli oleici (pari solo all' olio EVO),favorisce la digestione.


Percentuale d'acidi grassi del grasso del Prosciutto Iberico di Bellota, del Prosciutto di Maiale Bianco e dell'olio d'oliva

Olio d'Oliva Prosciutto Iberico di Bellota Prosciutto di Maiale Bianco
Acidi Grassi Saturi
Principale causa dietetica dei livelli elevati di LDL ("Colesterolo cattivo")
Palmitico 10,70% 21,04% 22,00%
Stereatico 3,50% 9,08% 12,20%
Acidi Grassi Monoinsaturi
Riducono i livelli del LDL e migliorano i livelli del HDL ("Colesterolo buono")
Palmitoleico 0,60% 4,50% 2,80%
Oleico 72,20% 59,13% 44,20%
Acidi Grassi Polinsaturi
Possono ridurre il rischio di patologie cardiache coronariche, coaguli di sangue ed infiammazioni
Linoleico 10,20% 5,11% 8,70%
Linolenico 1,20% 0,08% 0,08%

avere nel nostro locale un soffitto così...

domenica 22 aprile 2012

VIGNAIOLO O WINE-MAKER???


Ho sempre pensato che ci fosse una sottile differenza tra "Wine-Maker e Vignaiolo"; letteralmente significano la stessa cosa, ma a me piace pensare che questi termini indichino due figure leggermente differenti tra loro.
Quando parli con un produttore capisci quale sia la sua filosofia, lo scopo del suo operato, il Wine-Maker punta tutto sul lucro, è un uomo nel "business", non che l' altro lavori per la gloria, ma nella mentalità di un vignaiolo il guadagno è un fattore secondario, di puro sostentamento.
Il vignaiolo non punta solamente al sostentamento della vigna per l' annata da produrre, ma guarda al futuro, guarda la vigna e visiona nella sua mente il prodotto che sarà...
Nel mio immaginario il vignaiolo è colui che non solo è il proprietario, ma lavora anche le sue terre, le sue vigne, le lavora realmente e materialmente, cerca di non adoperare prodotti di sintesi, che gli faciliterebbero il lavoro, ma allo stesso tempo impoverirebbero la terra di tutte quelle sostanze naturali che dovrebbe avere, e quindi un prodotto necessita un altro prodotto, che necessita un altro ancora e così via.
le mani di un vignaiolo... che esprimono le stagioni passate
Nel mio lavoro spesso sono a contatto con produttori di ogni genere e le differenze tra loro si notano dalle argomentazioni che affrontano, di come le affrontano; per molti, il fulcro del discorso è uno solo, il lucro, invece parlando con altri addirittura questo tasto non viene quasi neanche toccato, affronti aspetti differenti del vino: parli degli interventi in vigna, in cantina, della scelta del tappo, di un particolare sovescio o di una dinamizzazione o ancora della filosofia del vino in questione, del perchè quel vino è nato così, del perchè la scelta di quell' invecchiamento o di quel particolare blend di uve, o del perchè la scelta ricade su di un particolare vtigno vinificato in purezza, magari autoctono, magari anche meno conosciuto e modaiolo, particolare che ristringe nettamente il suo appel con la stragrande maggioranza del pubblico e si dimentichi proprio del prezzo. Importante aspetto anche per loro, questi personaggi hanno bisogno di guadagnare tanto come gli altri, ("non vogliamo darglielo anche a loro uno stipendiuccio?" dico io),  ma non sentono questa necessità con tanta morbosità, o per lo meno non vedono questo aspetto come fine, ma come mezzo per arrivare ad un fine più grande che è la ricchezza d' animo; loro il vino lo sentono dentro, le loro vigne sono parte integrante della famiglia ed i vini che producono anche; quando parlo con loro non guardo l'aspetto esteriore, ma cerco di carpire ciò che hanno da insegnare, perchè questi personaggi hanno sempre qualcosa da insegnare, gli guardo le mani, che sono sempre rudi, nerbose e rovinate dal duro lavoro della terra, delle mani che parlano da sole, che esprimono le stagioni passate, e sento le storie che hanno da raccontare e gli aneddoti che hanno vissuto.


Alla fine voglio concludere ponendo una domanda: 
"IL VINO CE L' HAI NEL PORTAFOGLI O CE L' HAI NELL' ANIMA???"


sabato 14 aprile 2012

ristoranti in italia

da oggi siamo presenti nel sito "ristoranti in italia", visitalo e recensiscici, nel bene e nel male bramiamo un vostro parere.....
ciao

mercoledì 11 aprile 2012

Bianco Rosso o Verde... che Pepe sei???



Il Pepe è una pianta semirampicante, arbustiva, che fa parte della famiglia delle Piperaceae, comprende circa 700 specie, (ma solo poche sono quelle utilizzate come spezia) coltivata per i suoi frutti, che vengono poi fatti essiccare per essere utilizzati come spezie e la più comune è la "Piper Nigrum"; il frutto che nasce da queste piante attraverso diverse lavorazioni assume i vari aspetti, noti a tutti noi (verde, nero, bianco).
pepe lungo della Jamaica
La pianta, originaria del Malabar, si trova in stato spontaneo anche nel sud-est Asiatico ed in Cina e, coltivata, oltre che nella sua terra d' origine anche in tutte le regioni tropicali dei due emisferi. Il frutto maturo si presenta sotto forma di bacca di colore rosso scuro, con diametro di circa 5 millimetri, e contiene un solo seme.
Il pepe è una delle spezie più comuni nella cucina europea ed i suoi derivati sono conosciuti ed apprezzati fin dall' antichità anche per il loro impiego nella medicina Ayurveda.
Il tipico gusto piccante è dato dalla Piperina (alcaloide appunto responsabile del gusto piccante; è utilizzata in alcune forme di medicina e come insetticida).

Arbusto sempreverde, semirampicante, con rami arrotondati, lisci e nodi molto larghi, raggiunge i 4-5 metri di altezza. Le foglie, di colore verde intenso, sono ovato-laceolate, coriacee, lungamente acuminate e con una fitta peluria nella pagina inferiore, lunghe mediamente dai 5 ai 18 cm e larghe dai 2 ai 12 cm, con picciolo di 1-4 cm; i fiori, piccoli, bianchi e profumati, sono raccolti in infiorescenze a spiga. Ogni fiore ha due stami, tre carpelli con ovario unicellulare, il quale produce un solo ovulo e un solo seme. I frutti sono costituiti da drupe a buccia sottile e polpa carnosa, dapprima di colore verde, poi giallo-arancio, infine rosso, a piena maturazione.

Conosciuto fin dall' antichità, in Egitto veniva utilizzato per la mummificazione. In Occidente era considerato da sempre una merce di altissimo valore, tanto che el Vsecolo tanto Attila quanto Alarico, per risparmiare la città di Roma, chiesero un riscatto di una tonnellata di pepe.
Dall' XI al XV secolo d.C., si ebbe la stagione d' oro del pepe, quando la rarità e gli alti costi di importazione ne decretarono l' elevazione a status symboldelle classi dirigenti europee. Il valore aumentava in corrispondenza alle qualità terapeutiche attribuitigli: per esempio, durante l' età moderna veniva considerato un potente ritrovato contro le febbri malariche, al punto che in Inghilterra e Germania lo si bevevain infusione nel vino o nell' aceto; sino al XVIII secoo veniva impiegato nelle cosiddette "pillole asiatiche", contro le affezioni erpetiche.

La classificazione delle varietà è molto semplice:
 Pepe nero:
viene prodotto dal frutto acerbo; i frutti vengono sbollentati in acqua calda, brevemente, sia per lavarli che per prepararli all' essiccamento. La rottura della polpa, durante l' essiccamento, velocizza l' annerimento del grano del pepe. I grani vengono essiccati al sole o con essiccatoi, per diversi giorni, durante i quali i grani essiccano ed anneriscono. Una volta essiccati prendono il nome di "pepe nero". Questo viene spesso denominato secondo il luogo di produzione: India, Malabar, Malaysia, Indonesia ed altri;
pepe nero

 Pepe bianco:
è dato dal solo seme del frutto. Si ottiene tenendo a bagno per circa una settimana il frutto del pepe. In questo modo la polpa si decompone e può facilmente essere eliminata. Rimosso il pericarpo, il seme viene essiccato. Processi alternativi sono usati per rimuovere la polpa dal frutto compresa la rimozione della pelle essiccata dal pepe nero;
pepe bianco
 Pepe verde:
così come il nero, viene prodotto dal frutto acerbo. Nel procedimento di essiccazione viene trattato, con diossido di zolfo in modo da trattenere il colore verde del frutto. Il pepe verde in salamoia è un pepe acerbo conservato appunto in salamoia o sotto aceto. Nella cucina del sud est asiatico ed in modo particolare in quella Tailandese, viene comunemente usato il pepe acerbo appena raccolto dalla pianta;

pepe verde
 Pepe lungo:
prima della scoperta del continente americano era una spezia molto importante; in europa venne spesso confuso con il pepe nero e la convinzione che provenissero dalla stessa pianta era molto comune. Al giorno d' oggi è una pianta molto rara in Europa; dal sapore più aromatico e con tendenza dolciastra, viene utilizzato nella cucina indiana, indonesiana malese e nordafricana. Il frutto consiste nell' unione di molti piccoli frutti, ogniuno della dimensione di un seme di papavero;
pepe lungo

 Pepe grigio:
con questo nome si indicano due differenti prodotti: una miscela di pepe nero e bianco macinati finemente oppure il Cubebe, bacche della pianta Piper cubeba, fatte essiccare ed utilizzate come spezie e dai quali si ricavano oli essenziali; è conosciuto nelle zone di Sumatra e Giava, infati è conosciuto anche come "Pepe di Giava";

 Pepe garofanato o Giamaicano:
è il pimento, spezia erroneamente associata al pepe per via del suo nome, che in spagnolo significa appunto pepe; in Giamaica, ingrediente molto comune nella cucina dell' isola, soprattutto per la carne essiccata o affumicata, storicamente è arrivato in Spagna dai Caraibi quando Cristoforo Colombo lo importò pensando che fosse pepe;

pepe garofanato
 Creola:
miscela di pepe bianco, nero, rosa, verde e pimento.

 Pepe rosa:
La pianta si presenta sotto forma di piccolo albero caducifoglio (albero che durante le stagioni avverse resta privo di foglie) con tronco corto e chioma piccola, densa e tondeggiante. Le foglie, di colore verde intenso, composte da sette-tredici foglioline ellittico-ovate con venature centrali alate e margine liscio o dseghettato, sono aromatiche; in autunno assumono una colorazione rossastra. I numerosissimi piccoli fiori, bianchi o gialloverdastri, sono riuniti in racemi ascellari o terminali. I frutti, come dicevamo prima, sono bacche che a maturazione raggiungono un colore roseo-rosso e sono riunite a grappolo e aromatiche.
Il periodo di raccolta avviene quando il frutto raggiunge la maturità, tra estate ed autunno.
Si tratta di una pianta tropicale delSud America, Venezuela, Argentina e Brasile.
Noto come falso pepe peruviano, vene importato in Europa nel XVI secolo.
Per la cromia che lo caratterizza, questo pepe è principalmente impiegato a scopo decorativo; per uso culinario è molto più diffuso  nella nouvelle cuisine che in quella tradizionale.
In Peru viene utilizzato per insaporir sciroppi e aceti, mentre i nativi delle Ande con i suoi frutti producono una bevanda alcolica detta "chicha de molle". Il pepe rosa, infine, possiede proprietà diuretiche, è utile nei casi di infezioni alle vie urinarie ed eserciterebbe anche un' azione purgativa e antigottosa. Mai abusare di questo prodotto, perchè oltre proprietà benefiche, ha anche proprietà tossiche, mentre le foglie possono causare dermatiti.

pepe rosa


 Pepe di Szechuan o Sichuan:
 è una piccola bacca ottenuta dalle piante del genere Zanthoxylum fortemente utilizzata in Asia come spezia. Il nome pepe è dovuto al fatto che la bacca può ricordare una bacca di pepe nero, ma tra le due spezie non c' è correlazione.
Viene molto utilizzata nella cucina orientale, per esempio in Cina, soprattutto a Sichuan, da cui prende il nome, in Nepal, Tibet, Bhutan e Giappone.
pepe di Szechuan (Sichuan)
È conosciuto in Cina come huājiāo (花椒; letteralmente "fiore delle spezie") e con il nome, meno comune, shānjiāo (; letteralmente "spezia di montagna", da non confondersi con un'altra spezia che porta questo nome: il pepe di montagna della Tasmania).
In Giappone, invece, viene chiamato sanshō (山椒) da un riadattamento del termine cinese shānjiāo. Utilizzano anche le foglie intere della pianta, chiamate kinome (木の芽).
In Nepal, dove è ampiamente utilizzato, è chiamato timur.
In Tibet è chiamato gyer ma o e-ma o kham.
In India, a seconda della lingua della regione, è chiamato in diversi modi: in lingua Konkani è detto tepal o tirphal; mentre nelle regioni di Maharashtra, Karnataka, e a Goa è conosciuto come teppal.
In Europa e in America è conosciuto con diversi nomi; il più comune dei quali è, appunto, pepe di Sichuan o fiore di pepe (dal nome cinese) oppure fagara (da Zanthoxylum fagara, pianta diffusa in Florida). Può trovarsi sui mercati anche, a seconda del paese di provenienza, con altri nomi: pepe cinese, pepe giapponese o sansho, pepe nepalese, pepe-limone indonesiano.
Il suo particolare sapore non è pungente come il pepe nero o il peperoncino, ma, dopo il piccante, lascia un lieve aroma di limone e crea in bocca un leggero intorpidimento. A differenza del vero pepe, i semi vengono scartati e si utilizzano solo i gusci, i quali vengono tostati e macinati appena prima del loro utilizzo in qualche ricetta e aggiunti all' ultimo momento, a fuoco ormai spento. 
Nella cucina cinese si accompagna spesso allo zafferano e all' anice stellato. Viene utilizzato solamente per piatti a base di pesce, anatra, pollo e con melanzane fritte.
Si può spesso trovare sotto forma di olio di pepe di Sichuan che è addizionato a zenzero, zucchero di canna e aceto di riso, nella preparazione dei tagliolini fritti.
E' anche uno degli ingredienti più importanti della cucina tibetana e bhutanese; viene utilizzato assieme ad aglio, zenzero e cipolla per aromatizzare piatti di carne, soprattutto suina.
In Giappone è utilizzato in tagliolini, zuppe e piatti di pollo. Usano le foglie intere della pianta (Kinome) per aromatizzare pietanze vegetali, soprattutto la radice di bamboo, e decorare zuppe.
In Italia si può trovare in alcuni ristoranti soprattutto per spolverare dessert a base di fragole o frutti rossi.

In Cina troviamo anche il Mà-là che (letteralmente intorpidente, piccante) che è una miscela tipica della cucina di Sichuan, realizzata con pepe di Sichuan e peperoncino; ikl Hua-jiao-yan è una miscela di pepe di Sichuan e grani di sale, tostati e bruniti in una Wok e serviti come condimento per carni bianche.
Shichimi Togarashi
Il pepe di Sichuan è anche uno degli ingredienti della miscela tradizionale giapponese di sette spezie chiamata "shichimi togarashi" (letteralmente peperoncino ai sette sapori) o semplicemente shichimi, invece fuori dal Giappone è conosciuta come nanami togarashi.
Viene di solito preparata in casa e conservata al fresco; é molto utilizzata in zuppe, tagliolini, piatti di carne bianca e diversi piatti a base di riso, quali torte di riso, agemochi e cracker di riso.
Gli ingredienti sono: peperoncino rosso (tagarashi), scorza di mandarino, semi di sesamo, semi di papavero, semi di canapa, alga nori tritata, pepe di Sichuan; in alcune zone la canapa viene sostituita da zenzero o da aglio tritato. Alcune ricette aggiungono colza, zenzero o liquirizia.


sabato 7 aprile 2012

il Nebbiolo di Valtellina di Gianluigi Rumo e la sua Vini dei Giop...


www.caffedesiderio.com

Le foto sono di Francesco Vaninetti per Vinum Valtellina: sito che parla della Valtellina, (terra che mi ha ospitato e sopportato per dodici lunghi anni) dei suoi prodotti e dei suoi produttori, che siano di vino o altro non cambia, l' importante è che siano di qualità, e quella non manca di sicuro!!!  


Oggi ci mettiamo in viaggio con la nostra auto virtuale e ci avviamo verso nord. La destinazione è Villa di Tirano, Vila de Tiràn in dialetto, piccolo borgo della provincia di Sondrio che si estende fino ai piedi delle Alpi Retiche; il borgo ha vissuto la storia (fino al XI sec) da centro nevralgico, con Tirano, Bianzone, Brusio e Poschiavo, con la strada detta "Valeriana", che  partendo da Como e percorrendo tutta la valtellina, in prossimità della Val Poschiavo si collegava alla strada del Bernina, strada che portava all' omonimo passo nella Rezia verso l' Europa; a Villa andava ad intersecarsi con un' altra strada, quella che arrivava dal passo dell' Aprica, passando da Stazzona (frazione di origine romana) e Motta, costituendo così il paese come punto di ristoro e di collegamento per i viaggiatori di quei tempi. 

grappolo di Nebbiolo
La viticoltura Valtellinese affonda le sue radici all' epoca carolingia. Durante il basso Medio-Evo si intensificarono per la creazione dei primi terrazzamenti, intrapresi dai monasteri della vallata, anche se la loro diffusione sul versante Retico sarebbe successiva al 1500; fino a tale epoca la terra per la coltivazione era sufficiente per il fabbisogno della popolazione locale, poi con l' aumento demografico e l' aumento delle richieste dei vini locali dalle popolazioni delle terre a nord della Valtellina spinsero gli abitanti a dissodare nuove terre, ad avviare le opere di sistemazione dei versanti attraverso i terrazzamenti e a specializzare la viticoltura.
Importante è sottolineare che l' inizio delle opere dei lavori di terrazzamento coincidono con il momento in cui i proprietari terrieri, poche famiglie aristocratiche ed enti religiosi, iniziarono a cedere piccoli lotti di terra ai contadini che accettavano di sobbarcarsi del lavoro da fa re; questo gli permetteva di garantire a loro stessi ed alle loro famiglie un' autosufficienza, logicamente questi periodi lavorativi avvenivano quando l' attività agricola concedeva più tempo libero, come ad esempio durante l' inverno. L' opera di terrazzamento del versante retico terminò attorno alla metà del 1800. Al 1845 risalgono i terrazzi compresi fra Montagna e Ponchiera e quelli alla zona del Grumello.

le cassette di Nebbiolo, pronte ad andare in cantina
Il vitigno principe in Valtellina è il Nebbiolo, localmente denominato Chiavennasca; l' origine di questa parola non è propriamente chiara; in passato si riteneva che il vitigno provenisse dalla Valchiavenna e che solamente in un secondo tempo fosse stato importato in Valtellina ma oggi le ipotesi che sembrano più precise dichiarano che sia derivato dai termini dialettali:
  • Ciu venasca, cioè vitigno con maggiore vigore;
  • Ciu vinasca, cioè uva più adatta alla trasformazione in vino.
I terrazzamenti valtellinesi, dove trovano spazio le uve che vanno a comporre il Valtellina Superiore e lo Sforzato di Valtellina, sono l' elemento paesaggistico che più caratterizza il versante retico valtellinese che nella sua bellezza racchiude una importante risorsa economica del territorio; i muri a pietra, interamente realizzati a secco, si estendono per una lunghezza complessiva di oltre 2500 chilometri, motivo per cui è stato deciso dall' Unesco di inserirli nella lista dei patrimoni da tutelare.
i terrazzamenti Retici Valtellinesi

 Superficie viticola totale della Valtellina/Provincia di Sondrio (ha)
995
Superficie viticola totale con difficoltà strutturali
(altitudine, forte pendenza, terrazzamenti) (ha)
915
Superficie con pendenze > 30% (ha)
400
Superficie ad altitudine > 500 m s.l.m. (ha)
200
Superficie terrazzata (ha)
915
Limiti altimetrici dei vigneti (m s.l.m.)
900
Distribuzione dei vigneti con difficoltà strutturali sul territorio
Continua sul versante retico (destro idrografico) da Dubino a Tirano, dai 300 agli 800 m s.l.m.

Facendo un salto di qualche anno, anzi decennio, arriviamo ai giorni nostri; possiamo dire che i vini sono desivamente cambiati, e soprattutto la svolta fondamentale è stata data una ventina di anni fà, quando i vignaioli capirono che queste terre avevano un grandioso potenziale per qualità, ma che non era assolutamente sfruttato.
Oggigiorno i prodotti hanno decisamente subito un cambiamento evolutivo sostanziale, tutta un' altra storia mi verrebbe da dire; in Italia di sicuro abbiamo realtà vitivinicole eccellenti che cambiano in aspetto, gusto e qualità da una zona all' altra, i microclimi ci regalano realtà uniche e rare, come appunto in Valtellina, una delle poche realtà al mondo dove il nebbiolo si esprime a grandi livelli, che insieme al Piemonte si aggiudica il primato delle produzioni di questo vitigno principe...
la cantina di affinamento di dei Giop
Poi come sempre c' è chi lavora bene ed ottiene buoni risultati, o addirittura grandi, ma troviamo anche chi di risultati ne colleziona di pessimi; noi siamo andati a scomodare un piccolo produttore (2007-15000 bottiglie; 2008- 18000 bottiglie; 2009- 20000 bottiglie prodotte) l' amico Gianluigi Rumo, uno dei migliori esponenti giovani della Valtellina enoica.
Lui, con la sua "Vini dei Giop", un' azienda nata da pochi anni, sta rappresentando al meglio le caratteristiche di queste terre; pochi anni fà rilevò una piccola vigna, in disuso dagli anni '80, la restaurò e la rimise in vita per affrontare un suo progetto tanto caro: far conoscere al pubblico la profonda vocazione vitivinicola Valtellinese.
Gianluigi Rumo, Vini dei Giop
Le difficoltà che ha trovato e trova tuttora, non le nasconde, sono di origine logistica; i terrazzamenti che tanto caratterizzano questi vini creano grandi problematiche di lavoro, con pendenze che raggiungono il 70%, tutto avviene manualmente, il trattore tra le vigne non ci arriva, un' alternativa sarebbe l' elicottero, ma quanto ci costerebbe???, allora Gianluigi ed i suoi aiutanti si devono armare di tanta voglia e pazienza e devono lavorare di gambe, con il solo ausilio di teleferiche che li aiutano un pò.

Arrivando a parlare dei vini ammetto che non parlerò di tutti quelli che produce, ma solo di quelli che ho selezionato per una degustazione che abbiamo ospitato al nostro locale qualche sera fà alla quale ci ha fatto l' onore di partecipare anche Gianluigi stesso; dato che è arrivato a Firenze proprio per presentare questa serata, e considerando il fatto che, sapendo già in anticipo che non sarebbe stato un' evento mondano con un elevato numero di ospiti ed una grandissima visuale, possiamo capire quanto lui affronti con amore e passione il suo lavoro, quasi come fosse una "missione".
grappolo di Nebbiolo

La serata era composta da una serie di abbinamenti tipici di territorio, siamo partiti con un talgliere di salumi tipici, bresaola di manzo, salamet de baita e slinziga di maiale, accompagnati da pane di segale (rigorosamente artigianali) a cui abbiamo abbinato un:

Rosso di Valtellina DOC Il Bagai 2010:
Rosso di Valtellina DOC Il Bagai 2010
bagai, che in dialetto vuol dire bambino, intende vedere questo vino come il piccolo di casa; è ottenuto da una scrupolosa cernita di uve Nebbiolo, raccolte nei vigneti di proprietà siti tra Bianzone e Villa di Tirano, tra i 420 ed i 550 mt.slm (bottiglie prodotte 2100).
Ciò che più mi ha colpito è stata la sua freschezza, molto interessante; nel bicchiere il colore tipicamente spento, si esprime con note di rosso rubino, i profumi riportavano ad un bouquet di fiori rossi, arricchiti da frutti rossi, tipo ciliegie, frutti di bosco, in bocca desivamente secco, tannico e fresco ma non spigoloso, considerando il vino che avevamo direi che aveva una sua elegante armonia molto gradevole, oltre ad abbinarlo a salumi, io, soprattutto lo berrei volentieri come aperitivo invernale o magari con un piccolo errore voluto, gli abasserei di un paio di gradi o tre e lo berrei anche in estate tanto da renderlo un pochino più fresco, di temperatura.




Andando avanti abbiamo servito dei pizzoccheri della tradizione valtellinese, accompagnati dai manfrigoli alla grosina a cui abbiamo abbinato un:
Valtellina Superiore DOCG Le Filine 2008:
Valtellina Superiore DOCG Le Filine 2008
sì battezzato perché ottenuto lungo «file» ridotte di filari impiantati da cumuli di sassi; questo vino nasce da una vendemmia lievemente tardiva, i forti sbalzi di temperatura che caratterizzano il clima, non solo Valtellinese, ma tutto quello montano, tra giorno e notte nel periodo autunnale. Viene imbottigliato dopo un' affinameto di almeno 23 mesi in botti di rovere ed un affinameto di 6 mesi in acciaio.
Il colore, rosso rubino intenso, con unghia tendente al granato, è quello tipico del Nebbiolo mediamente giovane, i profumi più complessi ed intensi del primo, virano dal frutto maturo al fiore passito, fino ai terziari dati dal legno, sentiamo anche note di confettura di frutta rossa come amarene, o forse meglio di visciole. In bocca è caldo, secco, morbido.... il tannino c' è e si sente, ma non è fastidioso; sicuramente le durezze sono ancora vive e quindi azzarderei a dire che il 2008 ha ancora vita lunga davanti a se.





Come secondo abbiamo preparato un lombetto di Cervo ai mirtilli, e ad un piatto del genere l' abbinamento è parso spontaneo:
Sfursat di Valtellina DOCG 2007:
Sfursat di Valtellina DOCG 2007
questo vino rappresenta, a mio avviso l' uomo valtellinese, ruvido, tosto e deciso, ma anche morbido sotto certi aspetti... le uve sono tra le migliori della selezione di Rumo, come vuole il disciplinare viene appassito prima della pigiatura; durante la vendemmia le uve vengono raccolte in piccole cassette scolme, con cui vengono trasportate in cantina (esattamente come tutte le uve che vanno a comporre i loro vini) dove poi vengono poste ad appassimento, solitamente su graticci di legno, ma Gianluigi mi diceva che lui preferisce lasciarle nelle cassette confessandoci: "l' uva va toccata il meno possibile, quindi una volta raccolta la mettiamo in cassetta e poi questa viene spostata dalla vigna alla cantina, senza mai toccarla, quindi senza mai rischiare qualunque danno possibile..."
Passati 60 giorni, avendo perso circa il 50% dell' acqua contenuta ha di conseguenza una concentrazione di tutte le sostanze maggiore; l' invecchiamento è di 24 mesi in legno di rovere, poi seguito a sei mesi di affinamento in bottiglia.
l' appassimento su graticci
Il colore è un bel granato, con riflessi mattonati, gli archetti che forma nel bicchiere sono un campanello che ci avverte della quantità di glicerina che ci aspetta, i profumi sono un' infinità: fiori e frutti rossi passiti, in confettura e sotto spirito, dai frutti di bosco alla buccia dell' uva appassita alle ciliegie sciroppate, con un arricchimento di chiodi di garofano; in bocca rispecchia le aspettative, con questa grandissima complessità, accompagnata da spezie e da note di tostatura di cioccolato e caffè, che pensandoci bene erano presenti anche al naso, anche se ci erano sfuggiti temporaneamente; sul finale, decisamente lungo, i toni amarognoli appena accennati ci fanno ben sperare per un prospero futuro, (nel giro di qualche anno arriverà a svelare la sua austerità ed il suo carattere, che ancora oggi secondo me nasconde).





Come finale di pasto abbiamo voluto interpretare un detto valtellinese alla lettera: "la bocca le miga stracca se la sa miga de vacca", letteralmente vuol dire che la bocca non è stanca se non sa di vacca e cioè che non si è sazi senza mangiare un pezzetto di formaggio sul finale di pasto, quindi, abbiamo scelto un Casera stravecchio a cui abbiamo abbinato la riserva di Gianluigi:
il Valtellina Superiore Riserva Al Regiur 2007:
il nome, austero, significa il signore di casa, il patriarca, e in questo caso è  stato scelto per indicare il loro vino più significativo, il Top di gamma se si vuole utilizzare un termine moderno ,commerciale, insomma la riserva per eccellenza... Le uve vengono lasciate in pianta fino a gennaio, per affrontare un appassimento naturale, poi, vengono portate in cantina dove ha inizio il processo classico.
Roberto Lia
Al Regiur Riserva 2007
Dopo la fermentazione a temperatura controllata, la vinificazione segue un lungo affinamento in botti di rovere per 40 mesi, ancora sapientemente costruite a mano dall' ultimo mastro bottaio valtellinese, Roberto Lia.
Il colore è di un rubino spento, tipico, con riflessi mattonati, il naso è una vera e propria esplosione di aromi, dalla frutta ai fiori ai profumi terziari dovuti dal lungo affinamento, dalla viola mammola alla amarena sciroppata all' uva sotto spirito arricchiti da cuoio, note tostate e chiodi di garofano e qualche sentore di pepe. In bocca stupisce l' equilibrio, con bei tannini morbidi, ma non troppo, ed una buona freschezza, svelandoci che di strada ne ha ancora da poter fare, anche se ha già un suo equilibrio penso che possa migliorare riposando qualche anno ancora.

A questo punto non ci resta che aspettare che venga messo in bottiglia il prossimo nascituro, il vino senza aggiunta di solfiti... lo sto già agonizzando durante quest' attesa!!!

Ultimissimo ma non meno importante non ho ancora detto un piccolo fondamentale dettaglio, i vini di Giop, tutti i suoi vini, sono prodotti con bassissimi contenuti di solforosa (circa 30 mg/l, calcolando che solo 15 circa vengono prodotti direttamente dall' uva stessa), estremamente dannosa alla salute se viene utilizzata in grandi quantità.